LA DANZA NON E' FINITA, SALOME'

RACCONTO DI Giovanni Buzi
3° classificato al 1° contest LA LETTERA MATTA
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1 marzo 2008. Periferia di Milano. Palazzone in lastre di cemento. Una folata di vento freddo porta con sé un granello di polvere che, magia dell’immensamente piccolo, si insinua fra i battenti d’una finestra e riesce a entrare in una cucina. Sono le ore 11 e 45, Maria Saltinbocca sta preparando il pranzo: zuppa di cavolo e carote. Il granello, sfidando la gravità, si alza leggero e si ritrova nell’angolo di una credenza, proprio là dov’è già incastrato un altro granello di polvere.
– Guarda chi si rivede! – esclama il nuovo arrivato.
Scosso da un lungo letargo, l’altro granello apre gli occhi e risponde: – Tu... qui?
Neanche il tempo di risvegliarsi del tutto, che un colpo di vento, proveniente dalla finestra aperta da Maria Saltinbocca, scaccia i due granelli dalla credenza e li fa girovagare fra i vapori della zuppa di cavolo e carote. Una microscopica risata risuona nell’aria; è il granello di polvere appena giunto che alle risa lillipuziane mescola queste parole: – Te l’avevo detto che la danza non è finita, Salomè!
– Ma allora è vero – fanno eco gli ultrasuoni della voce del secondo granello, – mi tormenterai per l’eternità?

***

Fiore reciso immerso in un boccale, velo viola mai sopito, serpe languida è la musica.
La musica su cui tu danzi, Salomè.
Voce d’un solo flauto, d’un solo gemito che si avvolge su se stesso.
D’improvviso, ti immobilizzi e la musica cessa.
È quel giovane schiavo nero a dare voce al flauto col suo respiro, o sei tu, col solo muoverti, Salomè? Le tue membra perfette plasmano l’aria. I capezzoli dei tuoi seni pungono il velo che ti copre, senza celarti. La tua bellezza fa impallidire i vivi, ma io sono morto, Salomè, e non ho più paura di niente; neanche di te.
Agli angoli del grande salone, da bracieri d’argento esalano incensi blu. Frammiste a carboni accesi, ambre incandescenti brillano consumandosi in coppe d’oro. I tuoi occhi, Salomè, brillando mai si consumano. Ma, ciò che ignori, è che il mio sguardo è ancora più luminoso del tuo, adesso.
Adesso che mi hai fatto uccidere.
Tutto tace intorno a te.
Chiudi gli occhi e attendi.
Non sembri respirare, il tuo splendido seno non si solleva.
Ti ho sempre odiato. Tu e la tua bellezza. Tu e la tua superbia. Tu e la tua fame di vita. La fame dei preziosi liquidi che irrorano i corpi statuari degli uomini. Marmoreo era anche il mio corpo, puttana di Salomè. Quel corpo che m’hai fatto staccare dal collo, con un sol colpo di spada.
Ti odio, e non immagini neanche quanto.
Neanche immagini di cosa è capace il mio odio.
Anche di trasformarsi in amore.
Sollevi le tue palpebre bronzee sfumate di pallido oro, e i tuoi occhi cercano i miei. Sbarrati. Vitrei.
Un collo bianco–cigno sostiene il tuo bel capo decorato da trecce nere, perle e diamanti.
Il mio collo è reciso all’altezza della gola.
Mi rivolgi ancora uno sguardo, poi con lentezza abbassi le palpebre. Pieghi il capo verso i candidi seni e un palpito viola chiaro attraversa un ramificare di fili d’argento.
Mi manca la musica, Salomè, quel groviglio mobile di fili e spine sul quale danzavi. La tua danza... un sublime rincorrere ed evitare punture d’aghi invisibili.
Il mio capo è deposto ai tuoi piedi su un vassoio d’argento.
Sono la tua preda senza vita.
Puoi fare di me tutto ciò che vuoi.
Ora che m’hai tolto il respiro.
Ma, ciò che non potrai mai togliermi è la voglia di musica che ancora scuote l’animo mio.
Ancora e sempre.
La danza non è finita, Salomè.
Sollevi il vassoio. Con lentezza avvicini le labbra corallo alle mie. La tua lingua sguscia dentro la mia bocca e cerca. Cerchi la traccia dell’ultimo palpito di vita. Sento i tuoi denti fissarsi sulla mia lingua viola. Esiti. Saresti capace d’affondare quei dentini maligni nella mia lingua e divorarla. È quello che vorresti, oltre a succhiarmi ogni umore che ristagna ancora nel cranio. Ti limiti a gustare il sapore di glicine e decomposizione; la tua lingua viva succhia la mia morta, e di ciò sembri saziarti.
In un lampo di perle e diamanti, volti il capo. Due ancelle ti coprono con un manto di velluto amaranto e ti seguono nei tuoi appartamenti. Al di là d’una porta di bronzo dorato, posi il vassoio su un mobile di cristallo.
Finalmente hai quello che volevi.
Scosti i veli pesca e arancio che scendono dal letto a baldacchino. Ti lasci cadere sfinita fra le lenzuola di seta nera. Abbracciando un cuscino, soffice come un sussurro d’amante, ti addormenti.
Io questa notte non avrò bisogno d’addormentarmi.
In lontananza, un ultimo trillo di sonagli e tamburelli si spegne. L’intera città cede alle ombre.
Ma la danza non è finita, Salomè.
Di colpo, il vassoio si accende d’una luminosità argento.
In un brivido, la mia guancia rivive.
In fondo ai miei occhi pulsa una scintilla d’odio.
Tanto può l’odio, più che l’amore.
Le mie labbra si schiudono. Lentamente, il capo mozzo si solleva e si avvicina a te. I miei lunghi capelli neri sono lucenti e morbidi quanto i tuoi. Ma i miei, in più, hanno la bellezza della morte.
Comincerò dai seni sodi da cui spuntano i capezzoli, appuntiti come lance in calore. Stai sognando, Salomè. Stai sognando di possedermi, per sempre.
E io per sempre sarò tuo.
Le mie labbra si avvicinano al capezzolo. Si schiudono e, riversando un rigagnolo verde putrefazione, l’accarezzano. Adoro passare le labbra su capezzoli turgidi come boccioli di rose; adoro lasciare strie della mia saliva di lumaca in agonia. Adoro leccare con la mia lingua blu oltrevita.
Ti lasci sfuggire un gemito di piacere. Inarchi la schiena e ti offri come pergamena alla punta acuminata. D’improvviso ti mordo!
Sollevi le palpebre e in un grido d’orrore mi fissi. I miei occhi sono bulbi verdognoli senza pupille, si staccano dal viso in putrefazione e cadono, uno dopo l’altro, nella tua bocca. Non sai cosa fare, Salomè, non riesci più a respirare né a sputare né a vomitare né a pensare. Senza respiro, resti a fissarmi.
E di questa tua apnea io godo.
Hai avuto il tuo piacere, adesso avrò il mio.
Godo nel vederti torcere da un disgusto senza nome quando il tuo bel collo è costretto a ingoiare i miei occhi putrescenti.
Finalmente potrò vedere la tua “bellezza interiore”!
Apro la bocca e, in una purolenza d’allegro cadavere, sento scivolarmi dal cranio la mascella. Ipnotizzata, mi fissi. Le tue braccia si aprono a volo e annaspano stracciando i bei veli che dovevano proteggere il tuoi sogni. Godi sì, ti sento godere quando la mia mascella si incunea fra le tue cosce e si impala nel sesso depilato. Avevi orrore dei peli che deturpano la perfezione delle forme. Non aver paura, la mia mascella non ha peli. Solo denti che, con tuo grande piacere, scivolano lenti fra le grandi e piccole labbra.
Di tutto hai avuto in vagina, Salomè, ma ammettilo, una mandibola ti mancava.
Ti sento godere e, da gran troia quale sei, chiedere ancora. Ma, se non ti accontenti della mascella, cosa mi resta da fare? Mi fissi e mi leggi nel pensiero: avrai dentro l’intero teschio.
Con prepotenza, entro in te! Più della gioia terrena di partorire un figlio ti darò la divina di ricevere un cranio in vagina. Sento le tue grandi e piccole labbra incollarsi a ventosa. Gingilla il tuo vorace clitoride nei fori dei miei occhi e narici. Ancora uno sforzo e avrai la custodia dei miei pensieri.
Urli adesso!
Come mai hai fatto.
Volevi un bel ragazzo; gioisci, hai avuto molto di più del suo cazzo che un solo orgasmo rende viscido come molle verme. Hai avuto il contenitore di tutti i suoi pensieri, d’ogni suo sogno.
Hai avuto tutto di lui.
Lui che non voleva neanche guardarti ora ti vede da dentro, ti accarezza con le ali perse dei suoi capelli e ti scopa col cranio.
Perché, mia cara Salomè, mi hai voluto?
Perché proprio me?
Adesso, mi avrai per l’eternità.

Commenti

  1. Stile ben definito. Consapevole uso del linguaggio. Riferimenti azzeccati (per quanto "arditi").
    Oggettivamente, sul piano della scrittura, questo è un ottimo racconto.
    Contenuti, a mio avviso, eccessivamente "crudi"... ma è soggettivo.
    Un saluto,
    Kito.

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  2. La storia è studiata bene e risulta gradevole. Il linguaggio è meraviglioso.
    Complimenti al bravissimo Giovanni!

    Lucia Rigotti

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  3. Grazie Lucia per aver letto questo racconto ed averci lasciato un tuo prezioso commento.

    Un sorriso.
    Alessia

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  4. Dal titolo e dall'incipit, mi aspettavo una fiaba o comunque una vicenda "leggera" e invece é ben altro: un racconto macabro-erotico. L'ho trovato originale, ben scritto ma se devo dare un giudizio emotivo mi ha lasciato ben poco, forse perché non è il mio genere.

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  5. Mi fa molto Baricco...

    Stellato Carlo Edoardo

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  6. Mah,personalmente, credo che le volgarità in un racconto dovrebbero essere limitate, se non addirittura evitate.
    Elena Piccinini

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  7. Un racconto magnifico, scritto con l'odio e la rabbia di chi tanto ha amato.
    Lo stile e le parole adoperate sono intrise di questo sentimento.
    Ci si affaccia rapiti nelle conturbanti stanze velate, inalandone i profumi ambrati e percependone chiaramente i suoni evocati di tamburelli e sonagli.
    Un racconto maledetto che mi rammenta l'intensità poetica baudeleriana de "L'amore e il cranio".
    Complimenti, Mariachiara Moscoloni

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