TUTTA QUELLA STORIA: Comunicazione importante.

Poteva bastare la mail che ogni tanto dà i numeri? No.
Poteva bastare Spreaker che a ogni trasmissione del Lettere Matte Show ci fa sudare da pazzi? No.
Poteva bastare l'anonimello veneziano che senza informarsi di nulla scaglia gratuitamente dardi spuntati contro la nostra iniziativa benefica "Scrittori per Talitha"? No.
La bega più incresciosa aveva ancora da venire.
Prima di attaccare a raccontarvi ciò che è successo, ci teniamo a far presente che questo post non viene scritto a scopo "punitivo", ma ai soli fini di rendere giustizia e di mantenere l'atteggiamento di trasparenza che da sempre contraddistingue Lettere Matte.
Molti di voi ci hanno contattato nei giorni scorsi, facendo presente alla nostra redazione che da giovedì il libro "Tutta quella storia" non è più ordinabile dal sito del POD al quale ci siamo appoggiati. Nessun malfunzionamento, ragazzi: siamo stati noi a togliere momentaneamente il volume dal commercio on-line. Non ci ha dato di volta il cervello, semplicemente non potevamo fare altrimenti (entro mercoledì 23 giugno tutto tornerà alla normalità).
Ecco come sono andate le cose e come opereremo.
Mercoledì 16 giugno siamo stati contattati dall'autrice Rita Fantinato. Nella sua mail, Rita afferma di aver fatto una brutta scoperta: ha acquistato "Tutta Quella Storia" e, sorpresa delle sorprese, si è ritrovata a leggere un racconto davvero molto simile ad un suo elaborato dal titolo "Il Muro", pubblicato nel 2009 e che ha ben figurato in diversi concorsi letterari. Le abbiamo domandato di inviarci il suo testo, testo che poi abbiamo confrontato con quello contenuto nella nostra raccolta, ovvero "Il Profumo dei Mandorli in Fiore" inviatoci da Pier Luigi Lemmi (8° classificato al ns concorso). Ebbene, fatta eccezione per alcune piccole modifiche, la somiglianza tra i due scritti ha dell'incredibile.
A questo punto abbiamo deciso di fare qualche ricerca: navigando in internet, abbiamo scoperto che i due autori in questione hanno pure partecipato assieme alla premiazione di un prestigioso concorso letterario. Ciò non rappresenta di per sè alcuna prova... ma qualche molla ce l'ha fatta scattare.
E così abbiamo chiesto spiegazioni al signor Lemmi, il quale ha ammesso le sue colpe senza sottrarsi alle sue responsabilità, scusandosi con noi e, attraverso la nostra redazione, anche con l'autrice de "Il Muro" Rita Fantinato. Le parole e il pentimento di Pier Luigi ci sono parsi sinceri, ed è proprio per via di questa sincerità che lo staff di Lettere Matte ha deciso di non chiedere allo stesso alcun rimborso economico per il vano lavoro svolto, per quello che ci sarà ancora da fare e per le copie già vendute. Similmente, abbiamo deciso di non ricorrere ad Avvocati & Co contro il signor Lemmi, convinti che la situazione sia pesante già di per sè. Pur comprendendo appieno lo stato d'animo di Rita (siamo autori anche noi di LM!!!) la invitiamo, le consigliamo di fare altrettanto, di procedere ad una riappacificazione informale. Ma il nostro è appunto un consiglio, sarà poi lei a dover decidere in tutta libertà se intraprendere o meno strade legali.
Va da sè che non permetteremo all'autore, causa comportamento scorretto, di partecipare ad altre manifestazioni e/o attività organizzate da LM. Lo stesso, per evidenti motivi, verrà depennato anche dalla nostra Classifica Degli Autori.
Al fine di rendere giustizia, e avendo chiesto consenso all'autrice, abbiamo deciso di inserire nell'antologia "Tutta Quella Storia" il racconto "Il muro", che prenderà il posto de "Il Profumo dei Mandorli in Fiore". Stiamo già lavorando all'impaginazione e, come detto, a partire da mercoledì 23 giugno il libro sarà nuovamente ordinabile (e come sempre i diritti d'autore verranno interamente devoluti in beneficenza all'associazione di volontariato Talitha Koum Camerun - onlus).
Abbiamo anche pensato a chi l'antologia l'ha già acquistata: di seguito si potrà leggere gratuitamente il racconto new entry della raccolta.
Ci scusiamo per l'inconveniente.
La Redazione di Lettere Matte.
PS: scrittoruncoli, certe cose non vanno fatte 1 perchè la soddisfazione non è poi granchè, 2 perchè vi si sgama SEMPRE, 3 perchè sottoscrivere la paternità di un'opera (come è stato chiesto per partecipare al ns concorso) non propria rappresenta un illecito.
PS2: non permetteremo commenti a questo post. Se avete qualcosa da dire fatelo a letterematte@libero.it .
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Il muro di Rita Fantinato

- Nonno?
- Dimmi, Ibrahim.
- Lo vedi?
- Lo vedo, Ibrahim , sta arrivando.
- E dov'è? Ora dov’è nonno?
- Vicino, Ibrahim .
- Ma quanto vicino, nonno?
- Molto … troppo, Ibrahim. È strisciato con strette anse, inesorabile, vicino alla casa di Basmina, s'è mangiato le chiome degli ulivi nel grande giardino e ha già avvolto con le sue spire la tomba di Rachele, chiudendola alla pietà degli uomini.
- Ma quanto è grande, nonno?
- Più di quanto i tuoi occhi malati potrebbero contenere, Ibrahim. Così grande e incombente che la luce del sole che tu fatichi a vedere, ma che da sempre ha illuminato queste terre antiche e sacre a tanti uomini, non filtra più. Così lungo e ben disegnato che presto mangerà la casa di Jasmine, dividerà in due il campo dove nasce l'acqua della sorgente e attraverserà le nostre strade, impedendo alle genti di incontrare altre genti.
- Ma davvero è così potente, nonno?
- Lo è sempre stato, Ibrahim. Da quando è stato concepito nella mente degli uomini e lungo i secoli in cui è stato usato. Ma in questa terra sacra, Ibrahim, io non avrei mai pensato potesse nascere e svilupparsi. Perché in questa terra, siamo tutti figli di Abramo, io, te e loro, generati dallo stesso padre.
- Arriverà anche a casa tua, nonno?
- Arriverà, Ibrahim.

Leggeri sacchetti di plastica nera volavano ovunque assieme alle carte e alla polvere.
“È arrivato il vento del sud”, pensò Shamir.
Se ne stava seduto davanti a quello che un tempo era il suo coffe shop, tra i mulinelli di sabbia e l'odore acre dell'immondizia in putrefazione, sospeso e assorto ad ascoltarlo sibilare, mentre intorno a lui tutto taceva.
Gli ricordava, quel vento, di un tempo lontano, quando soffiando tra le colline ricamate di greggi di pecore, spandeva, in primavera, il profumo dei mandorli in fiore e del latte di palma.
Gli venne alla mente il sapore dolcissimo dei datteri maturi che crescevano nelle terre della sua infanzia, appartenute a suo padre e prima ancora a suo nonno, e prima ancora al nonno di suo nonno, terre che ora non riusciva a vedere più.
Fu il rumore metallico dei barattoli che rotolavano sull'asfalto, sbattendo sulle altissime barriere di cemento che si ergevano di fronte a lui, a distrarlo dai suoi pensieri di vecchio.
“Quanto tempo è passato”, mormorò' piano.
Quel mattino Betlemme era immobile, i check point erano chiusi.
Niente file gremite, niente fiumane di gente in attesa, niente grida di bimbi spazientiti. Solo il sibilo familiare del vento del sud.
Shamir si alzò lentamente, prese le sue poche cose, mise da parte i suoi inutili ricordi e, dando di spalle al cancello che lo separava dal coffe shop, ora inesorabilmente chiuso dal muro, con una mano sul cuore, disse solo una parola: “Inshallah”.
Prese a camminare lentamente, costeggiando quel muro di cemento alto otto metri, e si diresse verso il Baby Hospital, lì dove le suore francescane elisabettine non avevano mai mancato di dargli conforto in questi ultimi terribili mesi.
Erano arrivati anche lì, strazianti, gli echi lontanissimi dei missili qassam.
Ed era diventato sempre più difficile per un vecchio come lui scegliere, prendere una decisione, saper rinunciare.
Avrebbe di gran lunga preferito vivere come gli uomini della sua età, nel suo villaggio, accudito e rispettato secondo le leggi del suo popolo, come fu per suo padre, e poi per suo nonno e per il nonno di suo nonno, così da sempre.
Ma Betlemme non era più la città di sempre.
Varcare ancora una volta la soglia dell'ospedale era per Shamir un misto di speranza e sconfitta.
Ma Ibrahim era troppo importante. Dopo i cruenti giorni chiamati “piombo fuso”, tutto ciò che gli rimaneva di sua figlia Asghan era Ibrahim.
Ibrahim, con quella sua incredibile contagiosa curiosità. Ibrahim, con quei grandi occhi scuri che non riuscivano a contenere nulla.
“Inshallah”, ripetè ancora una volta, percorrendo assorto il lungo corridoio d'attesa, quel giorno, con i check point chiusi, quasi deserto.
Suor Piera sgranava il rosario di legno d'ulivo sotto la veste bianca mentre pensava che presto la casa madre l'avrebbe trasferita in un altro paese.
Ancora pochi giorni e avrebbe lasciato Betlemme.
Si avvicinò alla finestra e, guardando fuori, non potè non pensare a quanto quella città fosse cambiata da quando era arrivata lì quindici anni prima.
Anche le cose apparentemente immobili erano profondamente mutate, come le tre verdi colline che vedeva ogni mattina alzandosi,e dove ogni anno si raccoglievano le olive, in una festa popolare che le ricordava la sua terra veneta, la vendemmia e l'odore del mosto a settembre nelle campagne.
Le moderne villette degli insediamenti costellavano di bianco quelle che ora non erano più colline verdi.
Le radici degli ulivi sradicati giacevano immobili assieme ai tronconi degli aranceti, non c'erano più frutti in quelle terre, solo un grande serpente grigio a rovinare le vite e i ricordi.
Fuori dalla finestra, in una giornata di sole sbiadito, il vento del sud spazzava la polvere alzando i leggeri sacchetti di plastica neri che, sbattendo sulle barriere di cemento senza mai riuscire a superarle, ritornavano come le maree dal posto da cui erano partiti.
“Le tre”, disse guardando l'orologio.
“È l'ora”, si fece il segno della croce e uscì dalla sua stanza.
Camminava con l'animo pesante di chi fa fatica a contenere i pensieri e le emozioni, d'altronde come darle torto? Aveva pregato ogni sera e aspettato tanto, scoprendosi confusa a ripetere: “Sia fatta la volontà di Dio”, poi era successo tutto cosi in fretta...
Non erano passati più di cinque giorni da quando Shamir aveva bussato alla stanza dei dottori.
Era un uomo fiero, Shamir. Innamorato della sua terra, della sua gente e di quello strano sentimento che lì chiamavano onore.
Quella mattina sembrava più piccolo del solito. Entrò, salutò, non si volle sedere. Disse solo una frase: “Potete prepararlo”.
Quanta fatica può costare a un uomo pronunciare una sola frase, che non è altro che la fine, la conclusione di un indicibile tormento interiore?
Ne erano tutti consapevoli.
Aveva quindi ceduto, Shamir, si era piegato al destino, così gli piaceva chiamarlo, e aveva venduto ciò che gli era rimasto di un tempo ormai andato.
L'equipe medica apprese in silenzio i discorsi lunghissimi, i monologhi di notti insonni e le interminabili confessioni che Shamir disse con una frase.
Poi chi di dovere si alzò, sgravato da un enorme fardello, e senza perdere un minuto cominciò a prendere contatti, a sveltire pratiche, a telefonare.
Si rimise in moto una volta ancora la macchina burocratica che avrebbe permesso a Ibrahim di vedere di nuovo.
Perché la macchina era già partita, ma si era subito inceppata.
Il regno di Shamir era in una posizione strategica.
Il suo vecchio e fatiscente coffe shop se ne stava beffardo proprio lì, sulla linea immaginaria disegnata per il percorso del muro.
Non glielo avrebbero mai rubato il suo regno.
Glielo avrebbero comprato, con denari eccedenti le esigenze di un povero vecchio e la possibilità di emigrare in un altro paese.
Tanti denari... quanto bastava a pagare le spese mediche per l'intervento.
Shamir resisteva, e gli occhi di Ibrahim erano sempre più persi dentro la nebbia.
“Potete prepararlo”, ripetè mestamente quella mattina Shamir.
Si sarebbero attivate le interminabili procedure che consentivano a un piccolo palestinese di usufruire delle strutture sanitarie israeliane. Il Baby Hospital non possedeva rianimazione, né un reparto di chirurgia pediatrica.
Come nessuno degli ospedali dei territori.
“Hai deciso”, gli disse con incredibile pena suor Piera.
“Un pezzo di terra varrà bene gli occhi di mio nipote”. Rispose solo questo Shamir.
E se ne andò.
Il grido gioioso di Zineb scosse suor Piera dai suoi pensieri.
“Sister Piera!”, esclamò.
“Hai visto? Ora riesco quasi a correre.”
Sorretta dallo sguardo incorniciato dal velo di sua madre, Zineb muoveva a dodici anni i suoi primi passi.
Era anche lei reduce da un trasferimento in un ospedale israeliano, e la fatica di trovare i contatti, l'infinita catena dei rifiuti, sino all'agognato permesso, venivano immediatamente dimenticati nel vederla con le sue gambe compiere insicuri, claudicanti, piccoli passi.
Il sorriso di Zineb, ingenuo e generoso, i grandi occhi velati di Ibrahim...
Pensò a quanto le sarebbero mancati questi bambini, che in fondo sentiva tutti figli suoi, ma fu nell'atto di abbracciare la bambina che scorse dal fondo del corridoio la sagoma di Shamir.
Accade talvolta, al di là delle parole, al di là della banalità delle frasi, che uno stringere di mani, caldo e prolungato, possa andare oltre ogni sorriso solidale.
Quasi un abbraccio ancestrale, l'essenza dell'anima, tolto tutto il superfluo.
È quella necessità, provocata da un sentimento di profonda pena comune che spinge le persone a un contatto fisico profondo e lieve, come uno stringersi di mani.
“Sister Piera...”
“Vieni Shamir, non è più il tempo delle parole. Ibrahim ti sta spettando.”

Se ne stavano seduti sugli scalini d'ingresso del Baby Hospital, coccolati dal sole, ognuno perso nei suoi pensieri.
In attesa.
Shamir, suor Piera e Ibrahim.
Sembravano inaspettatamente sereni.
Con quel pallido sole e quel vento tiepido ti saresti aspettato che nulla accadesse.
Non sono i dolci declini ocra delle basse colline, non sono le zaffate di cumino e zafferano che ti inondano le narici, né il benessere che ti provoca un raggio di sole a dirti che sei a Betlemme, in Palestina.
È la sacralità del silenzio di giornate come oggi.
Quel silenzio sovrano che ti dà l'impressione rarissima che il tempo, immobile, non si sia mai piegato alla storia.
Enormi e sconfinate apparivano in quel momento ai loro occhi quelle terre: l'antica Galilea, la Samaria e la Giudea, da dove tutto ebbe inizio.
Viaggiava il loro sguardo al di là delle strade e di un muro di cemento, al di là delle colline e degli insediamenti, al di là di tutto ciò che era stato concepito per dividere.
Nella brevità della vita e nell'immortalità di quei luoghi tutto questo penare appariva senza senso.
È così, Betlemme.
Poi, accadde.
L'aveva già intravista mentre arrivava da est, dalla strada che veniva da Beit Jala.
Non avrebbe mai pensato, Shamir, di emozionarsi tanto.
Lasciò che lentamente compisse il suo percorso, mentre sentiva, doloroso, avvicinarsi il momento del distacco.
“È arrivata l'ambulanza”, disse con un sorriso suor Piera.
Il resto fu molto veloce.

- Nonno?
- Dimmi, Ibrahim.
- Verrai con me?
- No, Ibrahim.
- Non verrò.
- Ho paura, nonno.
- La paura rende ciechi, e tu stai andando incontro alla luce che è la mia speranza, Ibrahim.
- Nel posto in cui andrai non avrai bisogno di me. Altre mani ti guideranno, altri occhi vedranno al posto dei tuoi e tutto ti descriveranno. Poi, se Dio lo vorrà, presto potrai fare tutto da solo e sarai libero.
- Ho paura nonno.
- Non devi, Ibrahim. Il buio dei tuoi occhi è come questo muro, oltre il quale io non posso andare. È troppo stanca la mia mente, Ibrahim, troppo deboli le mie gambe, troppo il tempo che se n’è andato. Solo la speranza rimane, che tu un giorno potrai vedere la luce che illumina questa terra sacra, e che quei tuoi occhi scuri che mai hanno visto il muro di cemento, arrivino un giorno a non vederlo più.
- Non capisco, nonno.
- Capirai, Ibrahim.
- Mi aspetterai, nonno?
- Ti aspetterò, Ibrahim.

Stettero in silenzio per il tempo necessario a seguire dall'alto della collina il tragitto dell'ambulanza sino al check point.
Trascorrevano lenti i minuti, mentre niente sembrava compiersi.
“Era necessaria quella bugia?”, chiese suor Piera.
Shamir tacque, come se davvero avesse speso tutte le sue parole.
Il vento caldo del sud continuava a soffiare nella calma irreale di quel meriggio di primavera.
Con quel vento caldo e quel pallido sole ti saresti aspettato che nulla accadesse...
a Betlemme, in Palestina.
Fu così che una figura vestita di bianco, un vecchio con un pastrano marrone, un piccolo puntino bianco che si allontanava all'orizzonte con il suo carico di speranza sopra una terra giallo ocra, aspettavano che il destino, srotolando la sua trama, decidesse in quale direzione mandare le loro vite.
Proprio quando l'attesa stava assumendo i contorni definiti della sconfitta, videro tornare indietro l'ambulanza vuota, dopo aver consegnato Ibrahim a quella israeliana che ripartiva al di là del muro.
“Dio sia lodato”, sussurrò suor Piera.
“Se n'è andato”, disse piano Shamir. “Non lo rivedrò facilmente”, aggiunse.
‘’Sarà la zia Amina, d’ora in avanti a prendersi cura di lui.”
Improvviso e inaspettato arrivò, alzando i lembi del velo di suor Piera.
“È cambiato il vento”, sentenziò in pace Shamir.

Leggeri sacchetti di plastica nera volavano ovunque.
Si alzava la sabbia trasportata dal vento del nord. Sabbia di Palestina, di Siria e di Giordania, mescolata a quella di Israele, viaggiava in tutta l'antica terra di Canaan, al di là dei confini, giù fino al Sinai e ancora più in là... senza barriere, in capo al mondo.
Invisibili granelli di sabbia...

- Cambierà mai, Shamir?
- Come dite voi, sister Piera?
- Sia fatta la volontà di Dio.
- Noi diciamo “inshallah”.
- Allora … inshallah, Shamir.

E di ocra e di azzurro, di sole e di sabbia divenne il pomeriggio.